LA LIBERTA' E' PARTECIPAZIONE


Secondo lo studioso Ernest R. Alexander nel libro “Introduzione alla pianificazione. Teorie, concetti e problemi attuali ” esistono diversi tipi di pianificazione una delle quali a differenza di altri tipi di pianificazione non dipende dal potere di regolare azioni ma dalle indicazioni di soggetti esterni al progetto, essa è la pianificazione indicativa. Ad esempio la pianificazione allocativa e di sviluppo dipende dal potere di allocare risorse. La pianificazione indicativa dipende dal potere di persuasione: la persuasione di solida informazione e analisi, di proiezioni fondate di tendenze e previsioni di condizioni future, di scenari futuri attraenti e di strategie alternative e di criteri valutativi coi quali si giudica il piano. [0]Questi piani confidano nel potere della persuasione per influenzare le decisioni di imprese, organizzazioni o famiglie. La partecipazione di importanti interessi come la Camera di Commercio, le istituzioni finanziarie locali e gli appaltatori, sindacati organizzati, le organizzazioni di quartiere, i gruppi volontari che rappresentano ideologie e interessi specifici e i cittadini in genere, possono essere essenziali per l’accettazione ed il successo del piano.[1] La pianificazione indicativa è la più utilizzata in pianificazione, permette di partire dal basso avendo nel quadro progettuale la partecipazione intesa come carattere distintivo della comunità, la modalità con cui la comunità si autogoverna ed assume le proprie decisioni, lo strumento con cui pianifica e prefigura il proprio futuro[2]. Il termine “partecipazione” si riferisce generalmente  ai processi di condivisione delle decisioni che riguardano problemi di quotidianità delle persone  cui si riferisce. Praticando la partecipazione, si fa anche pratica di lavoro di gruppo, di regolamentazione, di critica e di proposta e si scopre l’altra faccia del diritto, che è la responsabilità; e questo porta alla cittadinanza consapevole e democratica.
Sorge spontaneo un  piccolo sorriso quando si parla di democrazia in Italia, come anche in altri paesi del mondo. Come cantava Giorgio Gaber  “la libertà è partecipazione”, essere liberi vuol dire, in un certo senso, vivere in uno Stato che garantisca la libertà ed avere la capacità di sfruttare la propria. La difficoltà di racchiudere il termine "democrazia" in una definizione che sia sufficientemente esaustivo, è da attribuire alle contraddizioni prodotte dalle teorie sviluppate nel corso della storia. Etimologicamente 'demokratia' coniato venticinque secoli fa in Grecia, definisce un sistema di governo basato sulla libertà, sull’uguaglianza dei cittadini, sul rispetto per la legge e la giustizia, in cui «il demos deteneva il potere sovrano, cioè la suprema autorità di esercitare le funzioni legislative e giudiziarie»[3]. La storia ci insegna che quando in un determinato territorio, sussiste fortemente una crisi, la società è portata ad unirsi in gruppi per cercare di migliorare il proprio status e risolvere problemi vitali. Prendendo ad esempio gli attivisti ed i sindacalisti del dopoguerra italiano, si nota come la ricerca continua del senso democratico e partecipativo nel modo di agire era assai vivo, si recavano di casa colonica in casa colonica, organizzando assemblee serali, trasformando le veglie in occasioni di incontro politico. Un sindacalista ha ricordato successivamente i vantaggi straordinari di queste riunioni:    
        
“In queste grandi cucine che molte case coloniche avevano tu avevi la presenza della famiglia al completo: dei giovani delle donne, del capofamiglia e di altri familiari. S’avea delle assemblee che era una partecipazione più numerosa ed era una più facile partecipazione anche al dialogo da parte di questa gente, perché in quel periodo c’era una certa timidezza, all’infuori di quelli diciamo più avveduti, che praticavano un’attività più impegnativa. Ecco questo tipo di riunione rendeva un forma di partecipazione più democratica perché era vicino a quella tradizione di modo di incontrarsi, una cosa più loro, più in casa insomma”[4]

La capacità di un popolo ad auto-organizzarsi prende vita dal problema comune a tutti, non sempre facile sapere organizzarsi nel giusto modo e per le giuste ragioni, ma pur sempre essenziale per le regole di sopravvivenza, o nel nostro caso, per migliorare la propria qualità di vita. I termini in questione democrazia e partecipazione, in questo senso, vanno di pari passo.


[0] Carta M., Teorie della pianificazione: questioni, paradigmi e progetto, Palumbo Editore, 2003  
[1] Ernest R. Alexander, “Introduzione alla pianificazione. Teorie, concetti e problemi attuali ” a cura di F.D. Moccia, CLEAN Editore, 1986.pag. 105 ; 106 
[2] G. Fera, “Comunità, urbanistica, partecipazione. Materiali per una pianificazione strategica comunitaria” Franco Angeli 2008;  
[3] Cit. Held D, (1997), p. 32 (http://www.eddyburg.it/filemanager/download/196/106%20CRinzafri%20TESI.pdf)
[4] Paul Ginsborg, “Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi”,Piccola biblioteca Einaudi, 1989, pag. 143





SHERRY ARNSTEIN
La scala della partecipazione che segue è un diagramma che consente di descrivere un pensiero iniziale intorno alla partecipazione nei progetti che li riguardano. La metafora della scala è presa a prestito da uno studio sulla partecipazione, sebbene nuove categorie siano state sviluppate per essa. (Arnstein, 1969).
Il caos attorno al concetto di "partecipazione" e alle sue diverse modalità applicative (dipende dal grado di influenza esercitato dai cittadini nei processi decisionali), ha dato vita a numerosi tentativi di interpretazione e classificazione del processo. Uno dei più interessanti resta la "scala della partecipazione civica" elaborata alla fine degli anni 60, da Sherry R. Arnstein, a cui molti autori fanno ancora oggi riferimento. 
Partendo dall’analisi delle relazioni di potere instaurate in alcune esperienze statunitensi di elaborazione e implementazione delle decisioni[1], Arnstein ha classificato sulla base di criteri qualitativi piuttosto che quantitativi le pratiche partecipative, distinguendole in otto diversi gradini, di una ipotetica scala che porti ad una crescita sostanziale della responsabilità dei cittadini. 



Le responsabilità progettuali e decisionali vengono partecipate tra chi detiene il potere e il popolo. La delegazione dei poteri (delegated power) fa sì che, nel caso di uno specifico piano o programma, si conceda ai cittadini un’autorità tale da poter ricoprire una maggioranza di posti nei comitati o nelle commissioni volontariamente istituite. Ciò consente di esercitare un effettivo controllo sulle scelte dell’amministrazione, e quindi sull’intero processo decisionale.  Il controllo dei cittadini (citizen control) attribuisce ai partecipanti o ai residenti un livello di potere (o controllo) tale da poter gestire un programma o un’istituzione, negoziare le condizioni con i poteri forti, non avere intermediari tra loro e la fonte dei finanziamenti, anche se, molto spesso le forze politiche e sociali esistenti riescono in ogni caso a fare pressione sulle loro scelte[2].
In conclusione,  Arnstein afferma che la partecipazione smette di essere un "rituale vuoto", privo di senso, per assumere una dimensione non formale, quando il popolo non è manipolato e non è dipendente dai funzionari per la determinazione degli esiti.
Un processo di pianificazione e i suoi risultati sono nel pubblico interesse se tutti i gruppi coinvolti hanno avuto accesso al processo di pianificazione e sono stati coinvolti nel prendere le decisioni rilevanti. Da quando la pianificazione locale venne istituzionalizzata la partecipazione è stata invocata per dare alla pianificazione la qualità del “processo dovuto”[3].



[1]  «To encourage a more enlightened dialogue, a typology of citizen participation is offered using examples from tree federal social programs: urban renewal, anti-poverty and Model Cities» (Arnstein, 1969, p. 216)
[2] Inoltre, esistono molti argomenti contro questo modello di controllo: si rivela meno efficiente e più costoso, può autorizzare l’adozione di atteggiamenti opportunistici e "sprezzanti", è incompatibile con i sistemi di merito e professionalità; e qualora i cittadini riuscissero ad avere il controllo, potrebbero non avere le risorse sufficienti ad esercitarlo (Arnstein, 1969, p. 224).
[3] Ernest R. Alexander, “Introduzione alla pianificazione. Teorie, concetti e problemi attuali ” a cura di F.D. Moccia, CLEAN Editore, 1986.




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