GLOB_GLOC

La mondializzazione non è che il nuovo nome della politica egemonica americana. Il nome più antico dell’occidentalizzazione del mondo non era altro che la colonizzazione e il vecchio imperialismo. È necessario dunque distinguere lo sviluppo mito dallo sviluppo come realtà storica. Lo sviluppo viene definito come la realizzazione dei desideri e delle aspirazioni di tutti o di ciascuno, al di fuori di qualsiasi contesto storico, economico , sociale e culturale. Lo sviluppo per essere autentico deve essere integrale, ovvero sia volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo: un buon sviluppo vuol dire innanzi tutto valorizzare ciò che facevano i genitori, avere delle radici. Esso e stato, è e sarà sradicamento, (tutto a spese della società). Per questo lo sviluppo è un mito.
L’accumulazione del capitale con tutti gli effetti positivi e negativi che conosciamo: concorrenza senza pietà, saccheggio sfrenato della natura. E questo nocciolo duro che tutti gli sviluppi hanno in comune è legato ai “valori” di progresso, di universalismo di controllo alla natura, di razionalità quantificante. Questi valori sono legati alla storia dell’Occidente, e hanno ben pochi riscontri nelle atre società animiste che, ad esempio, non condividono la fede nel controllo della natura.
Lo sviluppo realmente esistente può essere definito come un processo che porta a mercificare i rapporti tra gli uomini e tra gli uomini e la natura. Lo scopo è sfruttare, valorizzare, ricavare profitto dalle risorse naturali ed umane. L’armonia naturale dei diversi interessi.
Indubbiamente, tanto la mondializzazione quanto il doposviluppo ripropongono la questione del locale. <> costituisce un elemento fondamentale di qualsiasi soluzione alternativa allo sviluppo e alla mondializzazione, peccato che venga accoppiato alla parola  <>. 
In Francia negli anni settanta già si diceva che le strade costruite a caro prezzo, con i fondi dei dipartimenti destinati a sostenere gli agricoltori, con il pretesto di far uscire dall’isolamento le zone rurali, in realtà servivano all’ultimo agricoltore a traslocarsi in città e al primo parigino installarsi nella fattoria liberata e trasformata in casa di campagna. E lo stesso è accaduto in molti altri paesi. 
La crescita di sistemi locali che risponde a logiche globali non può essere chiamata sviluppo locale, e sicuramente non corrisponde ad una rivitalizzazione del tessuto locale, a un “progetto locale”.


Serge Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell’immaginario economico alla costruzione di una società alternativa, Torino 2005, Editore Bollati Boringhieri 



Post più popolari